(di Carlo Rossi) Nel corso dei secoli, sul territorio della Calabria, si sono avvicendate popolazioni diverse per etnia e cultura. Ma quest’area, chiamata India del Regno delle due Sicilie nell’ottocento per la particolare felicità della propria posizione e della fertilità dei terreni, ha continuato a mantenere intatta la sua identità economica di natura prettamente agricola e legata all’olio e al vino.

A queste radici è legato il progetto di Carla Liguori e del marito Nicola Cappa , che rilevano negli anni ’90 la Cooperativa Val di Neto, in crisi. Il progetto di un’azienda agrituristica di 170 ettari dei quali appena 25 a vino in un territorio magico e difficile quale quello delle prime fasce collinari della valle del fiume Neto dimostra la volontà di perseguire la strada perigliosa della qualità nella quotidianità e di svecchiare il concept dei vini calabresi, legato a durezza, tannicità e secchezza particolare.

L’arrivo dal 2018 dell’ enologo lucano Fabio Mecca, team leader  tra l’altro del Gruppo Tommasi di Verona, apporta il bagaglio di modernità ed esperienza che consente alle magnifiche uve tradizionali e contemporanee, Chardonnay, Greco, Malvasia, ecc., di spiccare il salto verso l’ eccellenza, tale da non snaturarne il legame con la tradizione di questi vini, ma di renderla appetibile per un piu’ vasto pubblico.

Bella la storia del nome del fiume Neeto che deriverebbe, dice  Carla Liguori “dall’incendio che avevano acceso sulle navi degli Achei le donne troiane, stanche di navigare per il Mediterraneo, per obbligarli a fermarsi e a stabilirsi in quel luogo; la fertilità della terra contribuì a convincere gli Achei a rimanere e anzi ben presto altri della stessa stirpe li raggiunsero e “fondarono molte colonie delle quali la maggior parte sono chiamate con i nomi dei fiumi”.

Così come il vino che degustiamo ad emblema dell’eccellenza della cantina, proprio perché semplice nel suo format ma così moderno. Il Ferule 2018 , blend di Chardonnay e Greco. Il nome, in lingua locale,  deriva dal finocchietto selvatico, odorosissimo, di cui è ricca la valle. I terreni dei vigneti sono di medio impasto, argillosi. Il sistema di allevamento è il cordone speronato. Solo 5000 ceppi per ettaro la densità. Dopo la raccolta le uve vengono separate dal raspo. Il succo e la polpa effettuano una lieve macerazione a freddo la quale, in presenza di una soffice pressatura, consente la separazione dalle bucce senza traumi. Il mosto da uve di Greco Bianco, viene posto a fermentare in piccole botti di rovere francese mentre quello ottenuto da Chardonnay viene posto a fermentare in contenitori di acciaio. Il risultato è un vino profumatissimo ma anche di sostanza, minerale ma equilibrato, ampio al naso con sentori di crosta di pane burro e frutta bianca matura. In bocca ottima struttura tra sapidità e freschezza che ne attesta la modernità. La prima annata di produzione è datata 2008.