(di Daniela Scaccabarozzi, prima parte) Cos’è un vermouth? Innanzitutto è bene precisare che non si tratta né di un liquore, né di un distillato, ma di un vino vero e proprio (che deve rappresentare almeno il 75%), nel quale viene fatto macerare l’assenzio o, per essere più precisi, l’artemisia (absinthium o pontica) con l’aggiunta di erbe aromatiche ed officinali (radici, cortecce, fiori, semi) e delle spezie, dando vita quindi ad una miscela esclusiva, differente per ogni casa di produzione. Vengono aggiunti inoltre zucchero ed alcol etilico (95°). Normalmente erbe e spezie restano a macerare per 15/20 giorni, successivamente l’estratto viene miscelato all’alcol ed unito al vino e dopo un periodo di affinamento di diversi mesi il vermouth è pronto (previa refrigerazione e filtrazione).

Il vermouth nasce a Torino, nel 1786, per mano di Antonio Benedetto Carpano, nella foto, pasticcere ed erborista, il quale, prendendo spunto dai vini speziati utilizzati nell’antica Grecia e Roma, pensò di unire il moscato di Canelli con erbe aromatiche e spezie. La bottega in cui Carpano lavorava come aiutante si trovava in centro città, vicinissima a Palazzo Reale, ciò creò il pretesto per inviare come omaggio al re Vittorio Amedeo III la sua nuova creazione che la apprezzò a tal punto da volerla introdurre come bevanda abituale presso la famiglia reale, soppiantando il rosolio usato fino a quel momento. La liquoreria di Carpano divenne quindi il locale più frequentato di Torino e battezzò questo vino vermouth, dal tedesco Wermut, traduzione di assenzio, che è appunto la pianta alla base di questo vino fortificato. Anche se qualcuno afferma che il vermouth era già nato in Germania intorno al 1600, è solo a Torino che riuscirà ad emergere ed affermarsi come specialità di aperitivo, grazie soprattutto alla disponibilità di vini bianchi di grande pregio, come il moscato, che sarà impiegato come ingrediente principe agli esordi della sua produzione.
Il Piemonte inoltre è una terra fertile per quanto riguarda l’abbondanza di fiori ed erbe che provengono dalle vicine Alpi e che contengono preziosi olii essenziali, oltre che dei migliori vini a livello mondiale, non poteva quindi nascere in un luogo più idoneo. Di conseguenza, a partire dal 1800, nascono intorno a Torino una vasta gamma di “vermuttieri” sorti sull’onda del suo successo e così questa bevanda diventa in breve tempo un bene di spicco dell’economia piemontese e dal Regno Sabaudo partono tantissime bottiglie che raggiungono i più lontani confini del mondo. Il vermouth ha dato inizio all’aperitivo all’italiana, che veniva consumato nel 1800 ed inizi del 1900 presso i bar e le pasticcerie, prima di andare a teatro.
Negli anni ’70 ed ’80 subisce però uno stallo, dovuto all’avvento di altri prodotti sul mercato, cominciando a perdere il suo fascino. Inizia inoltre una produzione più industriale che permette di realizzare il vermouth con bassi costi e molto velocemente. Molti “vermuttieri” artigianali storici, che hanno fatto fortuna, sono costretti a scegliere se chiudere o trasformare la loro fabbricazione da artigianale ad industriale. Pochi sono coloro che resistono e continuano a lavorare secondo i dettami tradizionali. Negli anni a seguire comincia quindi ad essere meno consumato, complice anche la qualità del vino impiegato che non è più il moscato (diventato ormai raro e molto richiesto) ma un vino di basso valore. Corsi e ricorsi storici vedono il vermouth peregrinare per il continente alla ricerca, di ricetta in ricetta e con grande difficoltà, di una propria identità.
Dopo un periodo di oblio e grazie anche ai grandi barmen, è stato finalmente riscoperto circa dieci anni fa quando, grazie alla ricerca di cocktails sempre più di qualità, diventa l’ingrediente fondamentale dei grandi classici italiani come il Negroni, il Manhattan o l’Americano, solo per citare i più famosi.
Il vermouth è infatti un vero pilastro della miscelazione per la sua unicità organolettica e dopo anni di massificazione industriale, questa nuova primavera sta portando alla luce una sua concezione inedita e moderna, fatta di vini veri e botaniche eccellenti. Da diversi anni sono aumentati inoltre i giovani imprenditori che propongono prodotti validissimi, così come molti marchi storici artigianali hanno rispolverato le antiche ricette, dando nuovo lustro ad una eccellenza tutta italiana. Il vermouth è ormai tornato con un rinnovato appeal, è diventato uno spirit versatile, un piccolo mappamondo di sapori e sentori made in Italy.
Possiede inoltre il fascino di un’arte liquoristica antica, tutta da riscoprire, poiché occorre una grande e consolidata esperienza nella lavorazione delle spezie in infusione. Il vermouth insomma, non si è ancora stancato di stupirci, accompagnando il nostro immaginario in un mondo ricercato ma reale e contemporaneo, fatto di competenza e raffinatezza. A Torino è nato, è diventato mito ed è proprio per questo che nel 2017 è stato emanato un decreto, successivamente avallato anche dalla Commissione Europea, che riconosce il Piemonte come zona geografica della sua fabbricazione e che ha criteri qualitativi più restrittivi, tutelando i produttori ed ancora di più i consumatori, dal rischio di imitazioni, salvaguardando la bontà del prodotto e la sua rinomanza storica.
Fatto salvo il 75% di vino, questo dovrà essere esclusivamente di origine italiana, senza preferenze di vitigno, che potrà quindi essere anche a bacca rossa. Nel Vermouth di Torino Superiore si stabilisce anche la provenienza del vino della regione Piemonte per almeno il 50%. Il grado alcolico dovrà oscillare da un minimo di 16 ad un massimo di 22 gradi , 17 per il superiore, mentre il dry e l’extra dry saranno a 18. Le artemisie dovranno essere solamente piemontesi ed essere presenti per 0,5 gr/lt. Nella tipologia superiore si devono utilizzare inoltre, almeno tre piante ed erbe aromatiche sempre di derivazione piemontese. Le tipologie attualmente disponibili sono tre: bianco, rosso e rosato, mentre le varianti sono extra secco (meno di 30 gr di zucchero per litro), secco (meno di 50 gr per litro) e dolce (pari o superiore a 130 gr per litro). Da ricordare che va servito sempre freddo, ad una temperatura tra gli 8 ed i 12 gradi, liscio o con ghiaccio, magari aggiungendo una fetta di arancia (per il rosso) o la buccia di limone (per il bianco).